Saluti da Amsterdam! (Pt.2)

23 dicembre: un’oasi verde nella capitale olandese

So già a cosa starete pensando, ora ci parlerà di Vondelpark. E invece no. Ciò che mi ha veramente colpita della capitale olandese è l’Hortus Botanico, un’oasi verde nel cuore di Amsterdam. Nato nel 1638 è uno dei più antichi al mondo. Creato inizialmente come Hortus Medicus, dove medici e farmacisti imparavano a preparare le erbe, principale fonte medicinale dell’epoca, assunse la forma attuale nel 1863, durante il Romanticismo. L’orto seppur di soli 1,2 ettari possiede circa 4000 specie di piante provenienti da tutto il mondo. Al suo interno si possono trovare ben sette climi differenti, ognuno dei quali presenta specie vegetali uniche nel loro genere.

E così spinti dalla curiosità decidiamo di alzarci presto per partire alla scoperta di questo piccolo ma incantevole giardino. L’orto si trova nel quartiere Plantage, non lontano dalla zona ebraica di Amsterdam. Dopo circa 20 minuti di cammino arriviamo a destinazione: la porta di accesso cattura subito la nostra attenzione. Costruita nel 1715 rappresenta una delle parti più antiche dell’Hortus. Entrati acquistiamo il biglietto d’ingresso (di 8,50€ per gli adulti) e, mappa alla mano, iniziamo il nostro tour all’interno del giardino.

Decidiamo di intraprendere il percorso partendo dal sentiero alla nostra sinistra, alla scoperta dell’orto con piante medicinali dove si trovano le specie vegetali presenti nell’originale Hortus Medicus. In particolare nello stagno esterno riscaldato, da maggio a settembre, cresce la più bella delle ninfee, la Victoria Amazonica, che purtroppo noi, visitandolo in dicembre, non abbiamo avuto l’occasione di ammirare. Proseguiamo la nostra visita verso “l’emisfero” che propone una panoramica generale sul rapporto tra le differenti famiglie di piante. In particolare, in questa parte di giardino, viene messa in risalto la differenza tassonomica completa delle piante da fiore.

Meravigliati da una natura così rigogliosa nel cuore delle capitale olandese, proseguiamo la visita lungo un sentiero alberato in direzione della serra delle palme dove, a poca distanza da noi, in un piccolo specchio d’acqua, notiamo un bellissimo airone cenerino. Una grande occasione ammirarlo da così vicino! Difatti se si presta attenzione si avrà l’occasione di ammirare diverse specie di volatili che volano indisturbati tra le fronde degli alberi. Entrati nella serra delle palme rimaniamo a bocca aperta nell’ammirare la pianta più antica dell’Hortus: la Cicadea gigante del Capo Orientale (Encephalartos altensteinii) che ha 300 anni e che fu acquistata nel 1850 dal Re Guglielmo II.

Il nostro tour prosegue nella serra de deserto messicano. Non avevo mai visto così tanti cactus in vita mia. L’ambiente non è grandissimo ma è strutturato in maniera tale da ricordare i terreni aridi che ospitano in natura queste specie vegetali. Ciò che mi colpisce maggiormente è la capacità dell’orto di condurre il visitatore attraverso questi ecosistemi, così diversi tra di loro ma allo stesso tempo così importanti poichè possa essere preservata la biodiversità. Insomma in pochi istanti ci ritroviamo negli sterminati deserti messicani e statunitensi.

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A pochi passi dalla serra de deserto messicano si trova quella educativa dove ad attenderci c’è uno degli animali più fragili e belli al mondo: la farfalla. Oltre a queste la serra ospita al suo interno piante tropicali, carnivore e acquatiche. Su alcune di queste (cacao, tè, riso, le piante di pepe e quelle da canna da zucchero) le farfalle depongono le loro uova. Una volta nati i bruchi vengono prelevati e allevati separatamente fino a quando le farfalle escono dallo stato larvale. A questo punto sono liberate nella serra dove vivono liberamente.
Appena entrati abbiamo avuto il privilegio e la fortuna di vedere da vicino la cosiddetta farfalla di vetro chiamata così per via delle sue ali trasparenti, che normalmente vive nell’America Centrale. Non è facile avvistarla per via della sua peculiarità, utile per sfuggire ad eventuali predatori, ma una volta scovata rimarrete a bocca aperta. Poco distanti vi sono alcune farfalle civetta chiamate così per via dello strano disegno che hanno sulla parte inferiore di ciascun ala: un occhio giallo che ricorda quello di una civetta appunto. Oltre a queste la serra ospita tantissime altre specie di farfalla che ovviamente mi sono divertita a fotografare.

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Heliconius-charitonius detta anche zebra lunga ala
A sinistra la "farfalla di vetro", a destra le "farfalle civetta"
A sinistra la “farfalla di vetro”, a destra le “farfalle civetta”

La nostra visita all’Hortus termina nella Serra dei tre climi, la struttura più recente all’interno del giardino che presenta una divisione in tre aree ognuna con una propria temperatura, umidità e circolazione d’aria. La prima sezione è quella subtropicale dove si trovano piante provenienti dal Sud Africa, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda. All’interno di quest’area vi è un percorso rialzato che dà la possibilità al visitatore di camminare all’interno della fitta foresta ammirandone tutto il suo splendore e la sua eterogeneità. Successivamente si entra nella sezione desertica dove vi sono diversi tipi di cactus e piante succulente. Quella più rilevante è sicuramente l’Aloe dichotoma, una specie a forma di albero, originaria del Namaqualand, Sud-Africa. E’ una pianta rara e protetta a livello internazionale. Nell’ultima serra si entra nel clima tropicale dove il caldo e l’umidità sono molto accentuati. Qui veniamo immersi da una giungla di palme, epifite e orchidee.

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La visita all’orto botanico ci ha lasciati senza parole. Una pura immersione nel verde, che ti rende consapevole di quanto sia importante preservare la natura e la biodiversità. Un modo di viaggiare con la mente nei luoghi più remoti del mondo che chissà se avremmo mai l’occasione di visitare. Un momento di crescita culturale, un modo per arricchire la nostra conoscenza di ciò che è lontano ma che in qualche modo ci circonda.

Usciamo dall’Hortus Botanico alle 13 ma la voglia di continuare la visita della città supera quella di pranzare. Così decidiamo di incamminarci verso il quartiere ebraico per visitare la Casa-Museo di Rembrandt. Ho sempre apprezzato il suo modo di dipingere: l’uso del chiaro-scuro mi ha stregata sin da subito. Non nego che sia uno dei miei pittori preferiti poichè, a parte l’indiscutibile bravura tecnica, riesce sempre a catturare la mia attenzione trasmettendomi quel qualcosa che altri pittori non riescono a comunicare.

La Ronda di notte

L’edificio, ristrutturato nel 1998, fu costruito nel 1606 e fu la dimora del pittore per molti anni. Fu qui che dipinse alcuni dei suoi capolavori come la Ronda di notte. Quando le proprietà di Rembrandt vennero vendute all’asta, la Camera dei Fallimenti stilò un inventario dove indicò in maniera precisa e puntuale com’era l’arredamento di quella che oggi è la Casa-Museo. Gli interni difatti sono curati nei minimi dettagli e consentono al visitatore di ammirare in quale condizione di sfarzo vivesse il pittore. Appesi alle pareti delle camere a piano terra vi sono numerosi quadri e incisioni di artisti suoi contemporanei che Rembrandt acquistò con lo scopo di trarne profitto. Quest’area veniva utilizzata come galleria d’arte dove i potenziali acquirenti potevano ammirare i quadri esposti ed acquistarli. Il pittore oltre ad essere un commerciante era anche un collezionista di oggetti rari ed esotici che si possono ammirare nel piano superiore della casa. La stanza da noi più apprezzata però è stata la soffitta trasformata in studio dove Rembrandt dipingeva e riceveva i suoi allievi. Chiudendo gli occhi riesco ad andare indietro nel tempo di quattrocento anni e vederlo all’opera, mentre crea le sue tinte con le quali dipingerà i suoi capolavori. Una grande energia invade la stanza, è come se il pittore fosse ancora lì, insieme a noi.

Usciamo dalla Casa-Museo che sono già passate le 14. Nella strada di ritorno, passando per il quartiere Waterlooplein, ci imbattiamo nelle bancarelle del mercatino delle pulci. Nato prima della seconda guerra mondiale, quando tutti i venditori erano ebrei, propone oggetti di artigianato, abiti, gioielli e tanto altro ancora. Dopo un breve giro di tutte le bancarelle non potevo non acquistare i tradizionali zoccoli olandesi, un piccolo souvenir del nostro viaggio.

Arriviamo al nostro appartamento alle 15.30 circa affamati e stanchi. Dopo un riposino decidiamo di uscire per berci un tè prima di preparare la cena. Le strade non sono molto affollate, il sole è già calato. Fa freddo fuori, bisogna coprirsi bene per non ammalarsi. Entriamo nel primo bar vicino al nostro appartamento che è anche un coffee shop. Ciò che mi colpì particolarmente di quel luogo era il divieto di utilizzare il cellulare. Finalmente un ambiente pubblico dove si privilegia la socializzazione piuttosto che l’isolamento causato dall’eccessivo utilizzo dei nuovi strumenti tecnologici. Usciamo che sembra notte fonda, ma in realtà sono soltanto le 19. Fa sempre questo effetto l’inverno, fa sembrare le giornate più corte di quello che sono in realtà.
E in un attimo, dopo cena, ci ritroviamo nel letto a pensare già alla nostra prossima meta: il museo di Van Gogh.

To be continued…

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