Vi è mai capitato di sognare per tanto tempo di fare un viaggio e, per i più disparati motivi, alla fine siete stati costretti a rinunciarvi? A noi è capitato con il Castello di Neuschwanstein, in Baviera. Per anni abbiamo sognato di visitarlo ma fino a due mesi fa non ci eravamo mai riusciti. Non […]
La scoperta dell’Appennino romagnolo continua. Questa volta abbiamo scelto un luogo d’importanza storica, una destinazione che pochi di voi conosceranno. Sto parlando di San Paolo in Alpe. Ne avete già sentito parlare? Immerso nel Parco delle Foreste Casentinesi, a 1030 metri di altitudine, oggi è una località semi abbandonata ma durante la seconda guerra mondiale fu protagonista di numerosi eventi storici per via della sua collocazione lungo la linea gotica.
Qualche accenno storico
Nel 1944 San Paolo in Alpe fu scelto dal Comando del Gruppo Brigate Romagna come campo di lancio di armi, vestiario, denaro e vivere utili alla sopravvivenza e alla lotta dei partigiani. Alla fine di marzo del ’44 il campo venne preparato per il lancio. Radio Londra trasmise nei primi giorni di aprile il messaggio convenzionale “le ciliegie sono mature” : fu così che nella notte tra il 4 e il 5 e tra quella del 7 e l’8 aprile furono lanciati pistole, mitragliatrici, bombe a mano, esplosivo, viveri e denaro. La distribuzione del materiale ai partigiani però non fu affatto semplice per via dei continui rastrellamenti da parte delle truppe tedesche. Nel frattempo la vigilanza al campo venne rinforzata in attesa di nuovi lanci. La mattina del 12 aprile 1944 però il campo di lancio venne attaccato dai tedeschi che, dopo una giornata di combattimenti, riuscirono a conquistare il campo e a costringere i partigiani a ritirarsi. Raggiunto l’obiettivo, le truppe tedesche devastarono la località di San Paolo in Alpe dando fuoco alla Chiesa e alle abitazioni civili.
Come raggiungere San Paolo in Alpe
L’escursione per raggiungere San Paolo in Alpe parte da Cà Fiumari. Come raggiungerla? Provenendo da Santa Sofia dovrete proseguite lungo la strada SS310 superando le frazioni di Berleta, Corniolo e Lago. Oltrepassata quest’ultima località troverete sulla sinistra, dopo circa 500-600 metri, una deviazione e un cartello in legno con scritto S.Agostino. Qui dovrete svoltare e proseguire per circa 4-5 km. La strada è sterrata e in molti punti scoscesa: prestate particolare attenzione e proseguite con calma. La seconda casa in pietra che incontrerete sarà Cà Fiumari. Ne avrete la conferma dal fatto che sulla destra ci sarà la deviazione per Sant’Agostino mentre proseguendo dritto per 200 metri troverete sulla sinistra un cartello che indicherà l’inizio del percorso.
Imboccate il sentiero CAI 255 e seguitelo fino all’arrivo a San Paolo in Alpe. In alcuni tratti i segnavia non saranno molto evidenti. Per questo prestate particolare attenzione, soprattutto nei primi due bivi. Il sentiero presenta un lungo tratto di salita (circa 3 km): inizialmente camminerete all’interno del bosco poi nell’ultimo tratto passerete lungo il costone roccioso. Attenzione a quest’ultima parte perché il sentiero potrebbe presentare tratti franati. Lungo il percorso troverete ruderi abbandonati utilizzati durante la seconda guerra mondiale come rifugi dei partigiani. Nell’ultimo tratto di cammino potrete ammirare ciò che resta di due edifici religiosi. Quello più a ridosso del punto di arrivo è la chiesa di S. Agostino oggi quasi interamente distrutta. Sul retro si apre un ampio prato con al centro un albero secolare. L’intera zona viene utilizzata per il pascolo del bestiame, compresa l’area dove sorgono i ruderi della chiesa.
Chiesa di Sant’Agostino
Una volta arrivati a San Paolo in Alpe noterete un grande edificio. La parte ristrutturata di recente è un bivacco. Qui non troverete acqua ma soltanto un luogo dove ripararvi o riposarvi in caso di bisogno. All’ingresso vi è una targa che racconta la storia di San Paolo in Alpe durante la seconda guerra mondiale. Salendo sulla piccola altura vicino al bivacco potrete ammirare un panorama niente male.
Bivacco San Paolo in Alpe
San Paolo in Alpe
Per ritornare a Cà Fiumari abbiamo ripercorso al contrario il sentiero CAI 255 però se decidete di fare un trekking a tappe avrete la possibilità di prendere il sentiero CAI 233 che in circa 2 ore di cammino vi porterà alla Diga di Ridracoli.
Approfittando delle ferie pasquali, trascorro insieme al mio compagno Andrea qualche giorno in Valtellina alla ricerca di relax e del buon cibo. Partiamo da Poggio Torriana (un paesino vicino a Rimini) venerdì all’ora di pranzo. Imbocchiamo l’autostrada A14 e in circa 3 ore arriviamo a Milano. Siamo diretti a San Giovanni di Teglio, piccola frazione montana in provincia di Sondrio, dove ad attenderci c’è l’appartamento di mio suocero. Da Milano percorriamo circa altri 150 chilometri e alle 18.00 arriviamo a destinazione. Ceniamo alla Trattoria Olmo, situata nel centro di Sondrio. Un locale molto accogliente, dove poter mangiare piatti della tradizione valtellinese come gli sciatt: frittelline croccanti, dalla forma tondeggiante, a base di farina di grano saraceno e formaggio Casera, serviti su un letto di insalata di cicoria.
Centro di Sondrio e Livigno Dedichiamo il sabato mattina alla visita di Sondrio. Dalla stazione centrale ci perdiamo lungo le vie del centro dove si svolge il mercato settimanale, fino ad arrivare a Piazza Garibaldi, fulcro della vita cittadina. Basta alzare lo sguardo per rimanere incantati dalla natura che sovrasta la città: le magnifiche Alpi circondano Sondrio, creando una perfetta immagine da cartolina. Verso le 11 lasciamo la provincia lombarda per dirigerci a Livigno. D’inverno, quando il passo Forcola è chiuso, è possibile raggiungere la città passando soltanto dall’Italia, attraverso il passo del Foscagno. D’estate invece vi consiglio di raggiungere Livigno dalla Svizzera: il tragitto è più breve e potrete ammirare a più riprese i paesaggi attraversati dal trenino del Bernina. Raggiungere Livigno in questa stagione è sempre una fantastica sorpresa: metri e metri di neve affiancano il nostro percorso, l’aria è frizzantina e la primavera sembra ancora lontana.
Giunti in città, ci avventuriamo per le vie del centro e, vista l’ora, decidiamo di pranzare al Ristorante Pizzeria Cànoa. Ordiamo due pizze e sperimentiamo la birra artigianale “1816 – La birra di Livigno“: ottima scelta (se volete assaggiare tutte le varietà di birra, vi consiglio di recarvi al loro pub che si trova in Via Pontiglia 37). Appagati dal pranzo dedichiamo il pomeriggio ad un po’ di shopping per le vie del centro. A Livigno troverete prodotti ad un prezzo più basso rispetto a quello italiano perché esenti da iva. La differenza maggiore la noterete sicuramente nel costo del carburante. Curiosi di ammirare il Lago del Gallo (o di Livigno), anche nel periodo primaverile, ci allontaniamo di qualche chilometro dal centro città. Rispetto al paesaggio estivo, quello che ci troviamo davanti è un luogo brullo, ancora immerso nel torpore invernale. Il lago è completamente ghiacciato e al posto di un manto erboso c’è soltanto terra.
Lago del Gallo
Stanchi ma soddisfatti per la bellissima giornata, ritorniamo a Teglio. Ceniamo al “Ristorante La Botte” che si trova a Tirano. Ordiamo un piatto di pizzoccheri (tipica pasta valtellinese realizzata con farina di grano saraceno, condita con formaggio Casera, burro, verza e patate) e un piatto di gnocchetti di grano saraceno con asparagi, mandorle e pancetta: una delizia.
Parco delle incisioni rupestri di Grosio Dedichiamo l’intera domenica alla scoperta del Parco delle incisioni rupestri di Grosio, un ambiente naturale che racchiude importanti testimonianze storiche del passato valtellinese: un viaggio tra arte rupestre, archeologia, castelli e natura.
Parco delle Incisioni Rupestri d Grosio
La visita dei castelli può essere fatta in autonomia e gratuitamente mentre per quel che riguarda la rupe Magna, che racchiude le incisioni rupestri, è necessaria una visita guidata. In attesa di scoprire l’arte rupestre, si avventuriamo alla scoperta dei castelli. Il primo che troviamo sul nostro cammino è il Castello Nuovo, costruito attorno al 1350 dai Visconti di Milano, per motivi difensivi: a testimonianza di ciò il castello presenta una doppia cinta di mura e una torre interna fortificata chiamata donjon. In prossimità del Castello Nuovo, sulla sommità meridionale del colle, sorgono i resti del Castello di San Faustino risalente al X-XI secolo. All’interno delle mura del “castello vecchio” sono visibili il campanile (restaurato agli inizi del ‘900) e due sepolture altomedievali ricavate nella roccia. Questo castello, più che una funzione difensiva, rappresentava un’affermazione di potere del feudatario di Grosotto e Grossura.
Ci fermiamo un’oretta nell’area pic-nic per il pranzo e verso le 14.00 ci rechiamo al centro informazioni dove acquistiamo il biglietto per la visita guidata alla rupe Magna (costo 5€). Ne approfittiamo per visitare l’Antiquarium dove sono esposti i reperti ritrovati dagli scavi archeologici condotti sul Dosso dei Castelli e sul Dosso Giroldo negli anni ’90. All’interno del museo si trovano prevalentemente oggetti ceramici, che hanno permesso di definire le caratteristiche degli insediamenti protostorici individuati sui due Dossi, inquadrandone la nascita e lo sviluppo, tra l’età del Bronzo e l’età del Ferro (XVI-II/I sec. a.C.). Insieme a Gottfried, archeologo e guida del parco, iniziamo il tour guidato alla scoperta dell’arte rupestre. Dopo una breve introduzione ci viene illustrata, in maniera chiara ed esaustiva, la Rupe Magna una delle più grandi rocce incise dell’arco alpino. I temi rappresentati vanno dalle figure antropomorfe (oranti, armati e lottatori), a quelle di animali, dalle figure geometriche alle coppelle, fino ad oggetti della vita quotidiana (ad esempio, i rastrelli). Queste incisioni sono databili tra la fine del Neolitico (IV millennio a.C.) e l’età del Ferro (I millennio a.C.). Ammirare da vicino queste creazioni è stata un’esperienza unica, da togliere il fiato: 6.000 anni di storia in una sola roccia, illustrata in maniera coinvolgente e interessante dalla nostra guida. Il tour però non termina qui. Gottfried prosegue illustrandoci velocemente anche i due castelli, mettendo in risalto alcuni particolari difficilmente individuabili attraverso una visita autonoma del parco.
Terminato il nostro viaggio nella storia, ringraziato Alessandro e Gottfried per la bellissima esperienza, torniamo a Tirano per gustarci un buon gelato e scambiarci opinioni a caldo su quanto appena visto. Prima di cena Andrea mi mostra un posto incantevole a pochi passi dal centro abitato di San Giovanni di Teglio. In mezzo al bosco, ad una decina di minuti di cammino, si trova una cascatella che ci rinfresca dopo un’intensa giornata passata sotto il sole. Terminiamo la giornata con una cena a base di pizza presso il “Ristorante 7 Archi” a Chiuro.
Castel Grumello L’ultimo giorno di vacanza parte lentamente. Sveglia alle 9, colazione con cappuccino e brioche alla pasticceria Mosconi a Villa di Tirano. Dedichiamo la mattinata ad un po’ di relax (in fondo siamo in vacanza). Pranziamo al ristorante La Svolta, a Castionetto. Per la prima volta assaggiamo i Chisciöi, frittelline piatte preparate con farina di grano saraceno e formaggio, fritte in olio o burro. Come secondo piatto ordiniamo una tagliata di manzo e un piatto di pizzoccheri (tanto per star leggeri).
Terminato il pranzo, decidiamo di fare una passeggiata a Montagna in Valtellina tra i ruderi del Castel Grumello. La Valtellina in passato fu luogo prediletto per la costruzione di fortezze e castelli per via della sua posizione strategica. Tra questi vi è il Castel De Piro al Grumello chiamato così perché edificato su un dosso roccioso (“grumo”). Costruito tra il XIII e XIV secolo per mano del ghibellino Corrado de Piro, venne parzialmente distrutto nel 1526 dalle Leghe Grigie. La struttura è divisa in due aree: una militare, situata ad oriente, (che presenta una torre a pianta quadrata con una funzione difensiva) e l’altra residenziale. Sullo sfondo si stagliano le Alpi Retiche, che rendono il paesaggio unico e mozzafiato. A pochi passi dal rudere, filari infiniti di viti vengono coltivati per la produzione del Valtellina Superiore Grumello DOCG. Trascorso il pomeriggio tra cultura e natura, cena veloce a Castionetto, con una pizza per Andrea e un primo leggero per me.
Meleti in fiore
La Valtellina è un luogo incantevole, dalle mille risorse, sia culturali che enogastronomiche. Ci sarebbero ancora moltissimi luoghi da visitare, tantissimi sentieri da percorrere, ma purtroppo non ne abbiamo il tempo. Ci promettiamo di ritornare al più presto per ammirare da vicino le meraviglie che questo territorio offre.
É da mesi che avevo in mente di scrivere di Rimini, la città che mi ha ospitata e accolta durante i miei studi universitari. Un luogo meraviglioso, con un patrimonio culturale importantissimo, che non ha niente da invidiare alle più prestigiose capitali dell’arte italiana: ogni angolo della città profuma di storia. Teatro di importantissimi eventi storici, dei quali è possibile ancora oggi identificare i segni, Rimini è prevalentemente conosciuta nel mondo come meta balneare, destinazione turistica di massa dove le famiglie e i giovani di tutta Europa sono soliti trascorrere le loro vacanze estive. Recentemente sono state intraprese strategie per rinnovare l’immagine stereotipata che dagli anni Cinquanta contraddistingue la città, investendo principalmente sulla riqualificazione del centro storico. Dall’apertura del cinema Fulgor, luogo amato dal regista Federico Fellini che lì vide il suo primo film, fino al Teatro Galli, bombardato durante la seconda guerra mondiale, e al Castello Sismondo che probabilmente ospiterà il museo dedicato al famoso regista romagnolo. Ora è tempo di pensare ad una diversa promozione del territorio, è tempo che gli albergatori si impegnino a spiegare ai propri turisti che oltre al mare c’è di più. A nemmeno un chilometro dalla spiaggia si apre un museo a cielo aperto che vale la pena visitare.
C’è però ancora molto lavoro da fare. Persiste da anni il problema del passaggio dei veicoli sul ponte di Tiberio, costruito nel 14 d.C.. Un ponte di epoca romana che anziché essere chiuso al traffico e reso pedonale, soprattutto per motivi di preservazione storica, è ancora oggi utilizzato per il passaggio dei veicoli a motore. D’altro canto il Ponte non è il solo a soffrire la mancanza di tutela. A pochi passi dal centro storico si trova l’anfiteatro romano, una delle testimonianze storico-archeologiche più rilevanti all’interno della nostra regione, che presenta evidenti problemi di conservazione e di accessibilità al pubblico. Pur essendoci due vincoli archeologici, all’interno dell’area persiste la presenza del CEIS (Centro Educativo Italo Svizzero) che non avrebbe ragion d’esistere per via del divieto di costruzione che dagli inizi del ‘900 grava su questa zona.
Cosa vedere a Rimini?
Di seguito il link al sito dedicato al turismo nella città romagnola dove troverete differenti percorsi tematici.
Ovviamente non potete lasciare Rimini senza aver prima assaggiato la piadina, il pane romagnolo per eccellenza, la pasta all’uovo (dai cappelletti alle tagliatelle), il tutto accompagnato da un ottimo bicchiere di Sangiovese.
Visitate Rimini: perdersi lungo i vicoli della città odierna sarà come fare un tuffo nel passato!
Chi di voi non è mai stato ad una sagra o fiera di paese alzi la mano!
Impossibile resistere alla tentazione di camminare tra i vicoli della città e immergersi nella tradizione.
A Santarcangelo, paese di circa 20.000 abitanti situato nel cuore della Romagna, ogni anno, da tempo immemore, si svolge l’11 novembre la Fiera di San Martino o Fiera dei Becchi, chiamata così perché vengono appese all’arco di Piazza Ganganelli delle grandi corna. La tradizione vuole che oscillino al passaggio dei “becchi” cioè delle persone tradite. Dunque fate attenzione alle giornate di vento! In realtà non è chiara quale sia l’origine di questa usanza.
Arco dedicato a Papa Clemente XIV dove vengono appese le corna durante la Fiera di San Martino
In passato le fiere erano considerate eventi importantissimi poiché durante il loro svolgimento era concessa la libera circolazione di persone, animali e merci. A Santarcangelo la Fiera di San Martino attirava persone da tutta la Valmarecchia fino ad arrivare ai confini con la Toscana. Si svolgeva nel momento in cui terminava l’anno contadino, con la vendita del vino nuovo. Rappresentava un luogo di scambio di merci ma soprattutto di bestiame che veniva esposto nel Parco Campo della Fiera.
Come in passato, anche oggi, Santarcangelo è invasa di stand enogastronomici che propongono i migliori prodotti locali e delle altre regioni italiane. Impossibile passeggiare per il borgo senza mangiare una buonissima piadina con cipolla e salsiccia accompagnata da un bel bicchiere di Sangiovese come vuole la tradizione.
Non perdete l’occasione per visitare il borgo di Santarcangelo, ammirando le antiche stampe romagnole, presso la Stamperia Marchi, e visitando il Musas – Museo Storico Archeologico della città. Saranno momenti unici dove tradizioni, riti e credenze si mescoleranno creando un esclusivo mix culturale.
È una domenica di metà marzo. Fuori la temperatura è mite, l’arrivo della primavera si fa già sentire. Decido insieme al mio compagno di avventurarmi alla scoperta del bellissimo entroterra romagnolo, luogo ricco di tanti piccoli tesori rimasti per lungo tempo sconosciuti ai più. Qualche settimana prima, quasi casualmente, avevamo notato nei pressi di Strigara, una frazione del comune di Sogliano al Rubicone, un percorso che conduceva alla sorgente del Rubicone. Questo viene indicato nei libri di scuola come il fiume che Giulio Cesare, diretto a Roma, attraversò con il suo esercito pronunciando la fatidica frase “Alea Iacta Est” – “Il dado è tratto“, violando così le imposizioni dettate dall’impero. In realtà vi è ancora oggi incertezza su quale possa essere l’effettivo corso d’acqua oltrepassato dal famoso console romano. Difatti il fiume Pisciatello e il Rubicone potrebbero essere facilmente confusi poiché le rispettive sorgenti sono presenti nella medesima area collinare. Indipendentemente da questa controversia mi incuriosiva visitare almeno una volta nella vita la sorgente del fiume che scorre nella mia città natale.
Zaino in spalla e scarpe da trekking partiamo da Poggio Torriana in direzione Strigara. Il tragitto in macchina è breve e appena notiamo le prime indicazioni del sentiero parcheggiamo e iniziamo il nostro percorso a piedi. Scendiamo lungo una piccola discesa dove ci troviamo di fronte ad un bivio. Qui imbocchiamo il sentiero n. 115a in direzione della sorgente. In poco tempo il cielo si è annuvolato e speriamo che non cominci a piovere.
Il percorso continua all’interno del bosco dove abbiamo l’occasione di vedere numerose specie floreali che con le prime temperature primaverili facevano capolino lungo il sentiero.
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Dopo circa 20 minuti di cammino raggiungiamo la sorgente del Rubicone: un piccolo rivolo d’acqua attorno al quale nel 2009 è stata posizionata un’iscrizione per l’inaugurazione del sentiero. L’acqua è freschissima e dissetante, l’ideale dopo una passeggiata. Attorno alla sorgente sono state posizionate delle panchine e anche un barbecue utilizzabile in qualsiasi periodo dell’anno. Ne approfittiamo per rilassarci e goderci la natura incontaminata che circonda questa valle. Il silenzio regna sovrano, si sente soltanto il cinguettio di qualche uccello.
Dopo circa 30 minuti ci mettiamo in marcia verso la strada del ritorno. Una volta arrivati al bivio però, curiosi di sapere cosa si nasconde dall’altra parte della valle, decidiamo di continuare in direzione Monte Farneto, imboccando il sentiero 115b. Dopo pochi minuti ci troviamo di fronte ai bellissimi calanchi, conformazioni geologiche che caratterizzano alcune aree dell’entroterra romagnolo. La luce del tramonto rende il tutto ancora più affascinante tanto che rimaniamo incantati a guardare questo particolare paesaggio.
Scattate alcune foto, ritorniamo a casa super soddisfatti della nostra breve ma intensa escursione pomeridiana.
Molto spesso tendiamo a non considerare le peculiarità che il nostro territorio ci offre, preferendo visitare luoghi esotici, lontani. La vera bellezza a volte si può trovare anche a pochi chilometri da casa, basta avere tanta curiosità e voglia di esplorare.
Sono sicura che la passione per il trekking e la fotografia ci condurrà a percorre nuovi sentieri dell’alto Rubicone, cogliendo così l’occasione di conoscere a fondo un mondo che ci sembra così familiare ma che molto spesso non lo è.
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Situata a quaranta chilometri dal mare, immersa nella valle del fiume Marecchia, si trova la rupe di Maiolo, alla cui sommità sono presenti i resti dell’antica rocca. Il territorio dell’entroterra riminese presenta una conformazione geologica e geomorfologica particolare: i terreni sono prevalentemente argillosi e nella valle sono presenti numerosi rilievi di piccole e medie dimensioni. Tra questi appunto vi è quello di Maiolo, il quale è formato nella sua parte più alta dalle arenarie e dai conglomerati del Pliocene Inferiore, mentre nella parte bassa da Argille Varicolori della colata della Valmarecchia.
La rocca di Maiolo
L’origine della parola Majolum è classica ma il suo significato non è certo: si pensa possa derivare dal comparativo maior/maius, ma che possa avere anche significati legati a insediamenti antichi non ancora conosciuti. Non esistono documentazioni storiche che attestino con precisione l’anno di costruzione del castrum e della rocca.
Oggigiorno capita spesso di sentir parlare indistintamente di rocca di Maiolo o di Maioletto quando in realtà fonti documentarie dimostrano che sino agli inizi del XIV secolo figuravano come due distinti castelli, fino a quando Maiolo incorporò quest’ultimo. Entrambi di proprietà di Donato di Gubbio, furono ceduti a Faggiola di Casteldelci alla fine del XIII secolo e rimasero un suo dominio fino alla metà del 1300. Successivamente la proprietà passò al vescovo di Montefeltro e un documento dell’epoca ne descrive le caratteristiche:
Il castello di Maiolo sta sopra un altissimo scoglio, circondato da grandi rupi: sulla vetta c’è una rocca fortissima, alle pendici i borghi. Vi fa stanza alla difesa un castellano per il vescovo di Montefeltro, e vi tiene residenza il suo vicario, che amministra la giustizia criminale e civile agli uomini del territorio. Il luogo sta sopra il fiume Marecchia, non lontano dalla strada per la quale si va in Toscana, e ha 48 fuochi[1].
In seguito ad accesi scontri, nella prima metà del XV secolo, il dominio del castello passò dai Montefeltro ai Malatesta di Rimini. Successivamente l’egemonia del borgo fu conquistata dai duchi di Urbino che lo inglobarono all’interno del loro ducato.
Nel ‘500 Maiolo figurava come uno dei sistemi fortificati più rilevanti del Montefeltro e qui si insediava una delle più rinomate milizie militari, grazie alla quale si ottenne un notevole sviluppo dell’economia locale. Tale crescita si arrestò con l’instaurarsi di una lunga fase di pace, tra l’ultimo periodo ducale e quello dello stato pontificio: è per tale ragione, oltre che a causa della frana che colpì Maiolo nel maggio del 1700, che iniziò il declino della città. Legata al tragico evento è la leggenda del “ballo angelico”. Questa narra della consuetudine di alcuni abitanti di Maiolo a partecipare a feste notturne, nelle quali era costume ballare e cantare nudi nelle stanze del castello. Una notte però apparve ai partecipanti un angelo che li avvertì che se questo rituale non fosse cessato avrebbero scatenato l’ira divina, causando un terribile danno per la città. Non curanti dell’ammonimento angelico i festeggiamenti proseguirono causando la formazione di un fulmine che spaccò il monte, distruggendo la rocca e il borgo [2].
Un secolo più tardi, nelle mappe napoleoniche non vi era alcuna testimonianza della rocca e dei pochi edifici rimasti. Questo era frutto della mancanza di interesse rispetto a questo complesso, che si è sviluppata a partire dal 1800 e che si è protratta sino ad oggi.
Qualche mese fa ho avuto l’occasione di percorre uno dei due itinerari che conduce alla rocca di Maiolo insieme al mio compagno di avventure Andrea ed è stata una bellissima esperienza. Qui di seguito vi riporto le tappe fondamentali sperando di invogliarvi a compiere quest’avventura.
Raggiunto il borgo di Maiolo, in località Sant’Apollinare, ha inizio il percorso pedonale per raggiungere l’antica rocca. È facile sin da subito scorgere in lontananza la rupe alla cui sommità sono presenti i resti del fortilizio.
Lungo il tragitto si notano i segni dei continui movimenti franosi e a lato del sentiero sono evidenti i calanchi, che rendono il paesaggio unico e spettacolare. Avvicinandosi alla rupe è possibile scorgere un cippo che, oltre ad uno stemma comunale e una riproduzione stilizzata dell’antico maniero, descrive brevemente ciò che accadde il 30 maggio 1700 quando una frana travolse il borgo e uccise gran parte delle persone.
In prossimità della rupe si scorge la presenza di uno dei pochi edifici rimasti intatti dopo la rovinosa frana del XVIII secolo: la chiesetta di San Rocco. Al suo interno è conservato un affresco del 1500 raffigurante la Madonna con bambino ma sfortunatamente non è possibile accedere alla struttura. Questo luogo rappresenta il punto di incontro per numerosi scalatori.
A questo punto l’itinerario prosegue all’interno della parte boscata, fiancheggiando enormi massi di roccia e non molto distante dalla chiesa, per poter proseguire, è necessario l’ausilio di una scala. Una volta saliti si scorgono alcuni resti del vecchio borgo travolto dalla frana. Di qui il sentiero si fa ripido e complesso ed è necessario l’ausilio di corde per poter raggiungere la sommità della rupe dove è conservata la rocca. Una volta giunti in vetta, passando attraverso il torrione 1, è possibile entrare dentro il fortilizio.
Il panorama è mozzafiato: da un lato San Leo con la sua rocca, dall’altro Novafeltria e infine gli imponenti calanchi tipici di questa zona franosa.
[1] V. Dini, La fame in testa – Studi Montefeltriani, 1999